È incontestabile che la psicoanalisi contemporanea stia sempre più mettendo la "sessualità" ai margini e, con essa, il paradigma pulsionale freudiano. Tutto questo avviene a vantaggio di teorie che si fondano sulla cosiddetta "relazione reale".
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Questa viene chiamata in causa sia rispetto alle ipotesi circa lo sviluppo psichico, come nella teoria dell'attaccamento di Bowlby e nei suoi derivati, che rispetto alle concettualizzazioni della cura analitica, come nel relazionismo interazionista stile Greenberg e Mitchell e nell'inter-soggettivismo alla Attwood e Stolorow. Ma se è vero che le cose stanno in questi termini non sembra che sia a tutti chiaro quale è l'effettiva posta in gioco di tale deriva.
Questa coinvolge tre ambiti. In primo luogo: qual è lo statuto epistemologi-co della psicoanalisi? Si tratta di una disciplina congetturale e il suo dominio è "l'invisibile", nel senso di Merleau-Ponty, o è una scienza naturale? In secondo luogo: quale è il linguaggio idoneo a renderne conto e a formularne i concetti teorici? È la metapsicologia, sorta di metalinguaggio scientifico, atto a mettere in forma l'inconscio che per definizione è invisibile e inosservabile, oppure è il linguaggio della "osservazione obiettiva" che ne fa una psicologia scientifica? Infine, la pratica della cura. La psicoanalisi è una psicoterapia che si propone come "esperienza emozionale correttiva" o, magari, come ri-narrazione, prodotta nella relazione analitica, della storia reale o immaginaria dell'analizzando? Oppure essa, attraverso la costituzione del setting realizza una riapertura dello spazio rappresentazionale ove le costellazioni fantasmatiche e difensive possano slegarsi e rilegarsi riformulandosi nella dimensione del transfert?
Le risposte che gli psicoanalisti daranno a queste domande determineranno la direzione e le prospettiva della psicoanalisi nei primi anni del suo secondo secolo di vita (Francesco Conrotto).